Centro Studi Galileo ha trattato in EXPO2015 l’importanza della refrigerazione nelle Nazioni in via di Sviluppo. In particolare ci si è soffermati, nei due convegni organizzati in partnership con le Nazioni Unite, sulla conservazione dei cibi che particolarmente nel continente africano raggiungono le tavole dei consumatori finali in una percentuale inferiore al 60%. Altro aspetto trattato parzialmente ma che merita approfondimento è quello della conservazione dei vaccini.
Molte aree del sud del mondo hanno sbalzi energetici significativi e spesso per molte ore del giorno le strutture sono prive di energia elettrica. Il deperimento delle derrate alimentari è quindi evidente e altrettanto accade per i vaccini che divengono inservibili.
Quali soluzioni si possono adottare per ovviare alle probleamatiche rapidamente?
Una possibile alternativa ci giunge da Regno Unito, precisamente dal Galles.
Una società privata ha brevettato un impianto frigorifero ad energia solare senza batterie!
La ricetta? Cambiamento di fase e materiali avanzati.
Nonostante la totale assenza di batterie l’apparecchio riesce a mantenere stabile la temperatura all’interno.
Non si tratta ovviamente di una novità assoluta in se. I frigoriferi solari esistono e vengono utilizzati. Tuttavia l’apparecchio a energia solare esistente necessita di grandi batterie che rendono il trasporto nelle aree più remote del pianeta arduo.
La novità è proprio nell’assenza di batterie di accumulo. Il Solar Direct Drive Refrigerators infatti utilizza un avanzato sistema di cambiamento di fase.
“Rinnovabili” spiega compiutamente il meccanismo.
“Speciali termoregolatori accumulano calore latente (o frigorie) sfruttando il fenomeno del cambiamento di fase per gestire i flussi energetici. In questo caso il modulo fotovoltaico del frigo produce durante il giorno elettricità che viene utilizzata per congelare il PCM; grazie alle sue proprietà il materiale si scioglie lentamente riuscendo a mantenere all’interno una temperatura costante di 5°C.”
I primi frigo della sono stati spediti in Sierra Leone, Honduras e Yemen dopo aver superato i rigorosi controlli dell’OMS.